Informazioni

SAN GALLO (in dialetto - Sangal, in latino-  S. Galli)

Frazione di Botticino, parrocchia autonoma dal 1854. Si trova a m. 474 s.l.m. sui pendii orientali del monte Maddalena, tra questo monte e il monte Dragone. Alle spalle del paese sorgono a O il monte Maddalena, a N il monte Dragone (1100 m. s.l.m.) con vista bellissima sul Garda, a E il monte Paina o Fratta ricco di marmi e di castagni. Così posti, i monti fanno da semicerchio intorno al paese mentre a S si apre la vallata dove scorre il torrente Rino, sulla Valverde. Dal colle della SS. Trinità si apre uno squarcio suggestivo sulla pianura fino agli Appennini. Le sue abitazioni sono disseminate sui dossi sporgenti dalla gobba della Maddalena tra la Trinità ed il passo di S. Vito, si sparpagliano negli avvallamenti della Faila, della Val del Fò per poi arrampicarsi fino a toccare quasi il Castel di Serle.

 

 

 

ABITANTI (Sangallesi, nomignolo: roncàie): 450 nel 1858 e nel 1868; 340 nel 1875 e nel 1887; 500 nel 1898 e nel 1908; 476 nel 1913; 450 nel 1926; 610 nel 1949; 762 nel 1963 e nel 1971; 596 nel 1981; 575 nel 1991; 530 nel 1997.

 

La nascita di S. Gallo è probabilmente da mettere in relazione con un frequentato sentiero, dalla preistoria in poi, che metteva in comunicazione la Valsabbia con la Valtrompia attraverso la Valle del Garza e con la Valverde per scendere a Brescia o per congiungersi poi fin dai tempi romani con la grande via Gallica. Il sentiero che saliva da Nave venne poi seminato di piccoli ospizi a incominciare da quello di S. Vito sul passo omonimo per proseguire lungo la costa della Maddalena per scendere a Botticino, Caionvico e S. Eufemia. Nessuna prova esiste di una presenza organizzata nei tempi di Roma tanto meno di una colonia Fabia, che tra l'altro fu una delle grandi tribù romane. Finora nessun segno archeologico ha offerto precisazioni in proposito. Una persistente leggenda locale vuole che là ove sorse la chiesa della SS. Trinità venissero celebrati sacrifici agli dei pagani. Il territorio di S. Gallo fu comunque sempre legato a Botticino Sera. Di Botticino fu cappella prima e poi curazia. Anzi a Massimo Tedeschi sembra di poter individuare nella primitiva chiesa della SS. Trinità una delle cappelle "in Buticino" della cui esistenza dà testimonianza la bolla del 9 settembre 1148 con la quale il papa Eugenio III, allora di passaggio a Brescia (ripetuta in bolle papali del 1175, di Alessandro III, e 1186, di Urbano III) confermava al Capitolo della Cattedrale la proprietà di alcune chiese del territorio bresciano. Il titolo della SS. Trinità se si collega alle lotte ereticali che si verificarono nei sec. X-XI anche nel Bresciano è anche da mettere in relazione, come in altri luoghi del bresciano, con l'ospitalità data ai pellegrini per cui prende valore l'ipotesi di una cappella annessa ad un piccolo ospizio appartenente in origine al Capitolo o ad una piccola comunità assistenziale che vi manteneva un eremita al quale il Comune di Botticino affidava lo sfruttamento del suo bosco che arrivava fino al cocuzzolo. Il titolo di S. Bartolomeo rimasto alla parrocchiale secondo il Trotti è dovuto al lascito di un certo Bartolomeo Morari il quale lasciò parte delle sue sostanze affinché si potesse erigere una chiesa dedicata al Santo di suo nome.

 

Sulle balze che salgono a San Gallo in "loco Pistone" e lungo il torrente Rino (un tempo Lifretto) fino al cosiddetto "Löc dei fra", aveva proprietà il monastero di S. Eufemia donato ad esso dal vescovo di Brescia Landolfo. Il Comune diventò proprietario del colle della SS. Trinità e dei boschi che da esso digradano a valle e nel 1446 affittava a «Giò Peleni de Spagna eremita detto Fra' Giò» per cinque anni «tutte le case, portici, ara, horti, vigne, e tutti li altri beni stabili siti sopra il territorio di Bottisino in contrada della SS.ma Trinità et attorno a detta Chiesa della Trinità» e ciò per quattro zerle di vino buono e un paio di pollastri. Si deve forse a questo "Fra' Giò" di aver abbellito la chiesa della SS. Trinità di nuovi affreschi in parte ancora conservati. Ma poco dopo i beni, la chiesa e l'ospizio passarono in proprietà del monastero di S. Faustino Maggiore in Brescia che vi costruì un vero e proprio monastero "dependence" e villeggiatura estiva di quello della città. Il luogo tuttavia rimase molto caro ai botticinesi che vi si rifugiavano in caso di guerra per cui insorsero contestazioni con i monaci, finite anche davanti ai tribunali di Venezia in agitato processo che continuò dal 1477 al 1481, durante il quale incominciarono a costruire vicino alla chiesa del monastero (il Galotti dice in Valsorda) una loro chiesa di cui l'abate, vinto il processo, impose la demolizione ma garantendo ai botticinesi il diritto di rifugiarsi nel monastero in caso di guerra o di scorrerie. Venne imposta la demolizione entro quindici giorni, mentre l'abate oltre che verificare i termini dell'istrumento di compera per una sua esatta applicazione, si impegnava a dar da mangiare e bere ai botticinesi che avessero partecipato nel giorno della festa dell'Ascensione alla processione e alla messa celebrata dal prete di Botticino e ad alloggiare in tempo di guerra i botticinesi che «vorranno ridursi stare et habitare con le sue robbe a loro spese a detto luogo della Trinità durante però solamente detta guerra senza alcun pagamento», secondo le consuetudini. È opinione di Angelo Galotti che i primi nuclei di abitazioni e le prime cascine di S. Gallo siano sorti intorno a un cantiere o centro di raccolta di lavoratori chiamati alle opere di bonifica iniziate dal Monastero cittadino. Provenivano, scrive il Galotti, da Botticino e da Serle. Anche oggi i cognomi dominanti S. Gallo sono: i Busi, gli Apostoli, gli Scarpari, i Damonti, gli Ziliani, i Ragnoli e gli Zanola di Serle. Al termine della bonifica, questi lavoratori presero, in luogo, stabile dimora e fondarono un piccolo villaggio. I monaci vollero provvedere anche al loro bene spirituale ed eressero una chiesetta per il culto che, a ricordo di un loro grande Santo Abate, la intitolarono a S. Gallo. Famiglie facoltose del luogo edificarono altre chiese o cappelle come quella della B.V. a pochi metri di distanza dal monastero e voluta dalla famiglia Lorandi, edificata nel 1581, l'altra dedicata a S. Dionigi costruita nel 1727 al "Curtif" o al "Löc de le Scöle".

 

Fino agli inizi dell'800 la contrada di S. Gallo visse una vita appartata quasi di distacco e di abbandono anche da Botticino, tanto che il 4 dicembre 1814 quindici capifamiglia si sentirono in dovere di protestare presso il prefetto per il fatto che il Comune di Botticino avesse "per sistema" di non ammettere in seno al consiglio nessun sangallese con i relativi svantaggi e ritenendo che, essendo essi poveri, tale fosse segno di disprezzo. La vita remota del paese non venne risparmiata da sventure ed epidemie: la presenza di bande di malviventi, il colera del 1836 e del 1855 (che mietè sette vittime) le malattie polmonari, la pellagra e poi il tifo, l'encefalite, una tosse epidemica che nel 1869 mietè quattro vittime in pochi giorni, la mortalità infantile ricorrente anche se il baliatico diventò per il paese attività economica di un certo peso. Documentata nei primi decenni dell'Ottocento la presenza di lupi. Nel giugno 1815 la piccola Giulia Lonati di dieci anni fu azzannata e dilaniata da un lupo presso l'ultima casa del centro abitato di San Gallo. Nel frattempo la vita comunitaria e civile riceveva coesione dallo sviluppo di quella religiosa ed ecclesiastica che erigeva nel 1854 una parrocchia autonoma da Botticino, anche se continuarono le avversioni non solo verso i paesi confinanti, ma anche fra le contrade del paese, specie fra Valsecca e la Valverde. Contese e contrasti che andarono spegnendosi solo nei primi decenni del '900 quando, come scrive don Trotti, «le figliole si portano alle filande di Botticino Sera, i figlioli alle cave di Botticino Mattina, quasi tutti a vendere o legna o frutta o pollame a Brescia».

 

Altrettanto grave per San Gallo, per una deliberazione del Consiglio comunale di Botticino del 28 agosto 1864, fu la vendita della maggior parte dei boschi comunali e dei diritti civici che davano ai poveri la possibilità di raccogliere legna gratuita. Contrastata nei tribunali, ma poi approvata, la decisione esacerbò gli animi dei sangallesi tanto da costringere il parroco, don Piccinelli, prima contrario, poi accondiscendente verso il Comune (fatto segno ad una schioppettata dalla quale "fu miracolo l'essere scampato") a lasciare Sangallo. Fra i pochi avvenimenti positivi sono la strada che, non ancora presente nelle mappe catastali del 1852, compare nitidamente in quella del 1898 e la costruzione del cimitero.

 

La presenza di parecchi cavatori e di operai pendolari creò a S. Gallo una notevole presenza socialcomunista che ebbe i suoi esponenti in Casimiro Lonati (1897-1983) che fu uno degli esponenti più in vista del PCI a Brescia e altri come Benedetto Lonati che combatterono in Spagna contro Franco. La vivacità di tali presenze richiamò spedizioni fasciste che a volte si limitarono ad una qualche bastonatura (come quelle date con rabbia sulla fontana eretta nel 1897, che rimase sbrecciata) o bevuta forzata di olio di ricino, ma specie il 17 agosto 1924 sfociarono in una sanguinosa repressione. Dopo aver pestato a sangue e fatto segno di colpi di rivoltella nella cantina del Ghiacciaiolo uomini e donne, la squadra salì a San Gallo. Qui i violenti spararono contro Giovanni Lonati, bastonarono tali Battista Damonti e Tomaso Busi e spararono rivoltellate contro il fratello di quest'ultimo Luigi e contro Andrea Busi ferendolo ad una gamba. La piccola contrada, oltre che sacrificare alla guerra parecchi giovani, visse momenti difficili come quello della notte fra il 27 e 28 ottobre 1944 quando venne attaccato pure il gruppo del comandante "Bruno" in località "La Frata" nelle vicinanze di San Gallo. Costì in un cascinale, si trovavano otto partigiani; circondati dai nazi-fascisti, dopo un cruento combattimento tre di essi riuscirono a fuggire: Bruno ferito ad una gamba, Erick ferito allo stomaco, Chico incolume. Tre vennero uccisi: Di Prizio Francesco (Negher), Cavalli Beniamino (Corno) e un livornese del quale non si ricorda il nome. Chico e Capelà riuscirono a salvarsi nascondendosi in una cisterna d'acqua.

 

Nel dopoguerra, con la caduta di antiche prevenzioni e grazie anche alla presenza di bravi parroci oltre che sotto la spinta di partiti popolari, la borgata registrò un progresso che, se pur non rapido, fu continuo. Il miglioramento della viabilità, l'ammodernamento degli edifici e gli sforzi di creare fonti di lavoro in luogo (fra cui quello del parroco don Giovanni Pini che diede vita ad un piccolo calzificio che, pur se presto chiuso, richiamò altre imprese come la "Gazzella Calze", la Tessile S. Gallo, ecc.) trasformarono via via l'aspetto del paese. Al risveglio della borgata servì senz'altro anche il rilancio del complesso della SS. Trinità. Nel 1970 infatti le ACLI di Brescia acquistavano il complesso del monastero per ospitarvi l'Ente Nazionale per l'istruzione professionale (ENAIP), che avviò opere di restauro ospitando archivi, aule, centri sperimentali, laboratori, musei, mostre con lo scopo di salvare il patrimonio culturale bresciano e non. Senza dire poi dell'organizzazione di frequenti manifestazioni o occasioni di aggregazione compiuti a margine della scuola. A contrastare lo sforzo di progresso della comunità nell'ottobre 1976 una vasta frana scese dal monte Tufo atterrando una casa e costringendo all'addiaccio 14 famiglie. Da allora il problema delle frane si ripetè, intralciando gli sforzi degli amministratori e della popolazione. Nonostante ciò, specie negli anni '80 i segni di ammodernamento furono sempre più evidenti. Nel 1981 veniva costruita una nuova scuola materna, nel 1989 veniva avviata la rete fognaria, nel 1999 veniva ampliato il cimitero. Negli ultimi anni si sono moltiplicate inoltre le occasioni di cultura e del tempo libero. È nato un attivo Gruppo escursionisti San Gallo (GES) che ha catalogato (1996) i "Sentieri della Valverde". Nel 1987 è arrivato anche uno sport originale, il liu-bo consistente in una antica tecnica di difesa e di attacco con il bastone siciliano. Di notevole richiamo per i ricchi programmi che presenta è la sagra del patrono S. Bartolomeo. Nel settembre 1997 venne posta sulla sommità del monte Dragone a cavallo della Valverde e della Valle del Garza una campana per ricordare i caduti della montagna (soldati, cavatori, escursionisti).

 

ECONOMIA. La piccola borgata ebbe evidentemente anche una sua storia economica che, esclusivamente agricola, era incentrata sui prodotti tipici della collina e della mezza montagna: uva, anzitutto, ma anche amarene, cornioli, noci, fieno per il bestiame, grano e "formentone" alternati sullo stesso fondo secondo una rotazione binaria. Come osserva Massimo Tedeschi: «l'economia del paese di montagna, in cui la proprietà terriera era estremamente frammentata, si basava per il resto su un'agricoltura povera, autosufficiente, che si reggeva grazie all'integrazione con lo sfruttamento boschivo assicurato dagli antichissimi usi civici. Uomini e donne, indifferentemente, lavoravano la terra, mentre prerogativa femminile erano la filatura e la tessitura della lana, destinate però a soddisfare i bisogni domestici e non una domanda di mercato. Decisivo, per l'economia sangallese, risulta invece lo sfruttamento dei boschi, molti dei quali di proprietà comunale: il diritto di pascolo favoriva un allevamento minimale e frammentato, con pochi capi di bestiame in ogni famiglia, che rappresentavano però un'alternativa (o un'integrazione) importante nell'economia domestica e nella alimentazione familiare». L'aumento della popolazione, le ripercussioni della crisi agricola degli ultimi decenni dell'800, il flagello della filossera ed altre difficoltà spinsero la popolazione a frequentare le piazze della città recando in vendita frutta e verdura mentre spalloni contrabbandarono fino al 1945, lungo il sentiero dei Dornei, vino e specialmente grappa. Ragazze trovarono infine lavoro nelle filande di Botticino, mentre i giovani raggiunsero le cave di marmo di Botticino. Esistettero anche fornaci di calcina, edificate nei boschi della Faila o Faita e del Pistone o Molino e fra la SS. Trinità e il paese dove esiste ancora il toponimo "Calchera", ma furono sempre rapportate alle necessità della edilizia locale. Dopo l'iniziativa di don Pini, di cui s'è già detto, su più vasto raggio nacque nel 1963 la Gazzella Calze che assorbì fino a 220 dipendenti ma che il 6 dicembre 1973 chiuse i battenti per fallimento. Nel 1978 nei capanni della Gazzella Calze si sistemò una nuova azienda: la Tessile San Gallo che si impose per i filati di pregio, di nylon e di poliestere che sbarcarono subito sui mercati internazionali assorbendo 28 dipendenti. Purtroppo un incendio avvenuto il 9 gennaio 1993 distrusse tutti i depositi e compromise i fabbricati. Sempre più diffuso, il pendolarismo portò ad una crisi sempre più decisiva dell'agricoltura. Scomparve del tutto la raccolta di amarene di cui si raccoglievano 8-10 mila quintali destinati all'industria conserviera, sta scomparendo anche la coltivazione della vite, mentre la raccolta di castagne divenne il divertimento domenicale di molti cittadini di Brescia.

 

 

 

ECCLESIASTICAMENTE dipendente, come si è detto, dalla pieve e dalla Cattedrale alla quale Botticino (di cui S. Gallo fu parte integrante fino al 1854) appartenne fino al sec. XV, l'assistenza religiosa fu per secoli gestita dai monaci benedettini di S. Faustino Maggiore di Brescia mantenendo però un legame con la parrocchia il cui titolare saliva a celebrare qualche volta. Tuttavia il Da Lezze nel 1610 si limita a registrare che «fuori della terra mezo miglio sopra il Monte detto della Trinità vi è una chiesiola della S.ma Trinità ne viene officiata, se non le feste da un prè, et è di raggione delli Padri di S. Faustino». Tuttavia, specialmente nei sec. XVII e XVIII, il legame andò rinforzandosi, tanto che la parrocchia mandò sempre più frequentemente un cappellano che divenne via via un vero e proprio curato per il quale venne costruita tra il 1763-1781 assieme alla chiesa un'elegante casa che sarebbe diventata poi la canonica. Come si è accennato, per assicurare l'assistenza religiosa più continua, i Lorandi eressero una chiesa all'esterno del monastero, provvedendo a un proprio cappellano. Poco o nulla si sa della chiesa che esisteva in località detta Fò di sopra. Nella visita del card. Querini del 1734 si accenna ad una chiesa di S. Gallo con un romito. Mentre la popolazione sangallese continuò a gravitare per la vita religiosa intorno alla chiesa della SS. Trinità, la famiglia Morari si dotava nel 1727 di una cappella privata dedicata a S. Dionigi (o Dionisio) edificata nel "Curtif" o "Löc de le Scöle" che è ancora riconoscibile in alcune linee. Nel sorgere è già avvantaggiata da un testamento di Bortolo Morari del 10 marzo 1725 per la celebrazione di S. Messe, specie nei giorni di festa, «per comodo di quel popolo destinate ad un sacerdote della famiglia e, finita la discendenza, all'abate di S. Eufemia». Il capitale della cappellanìa verrà aumentato più tardi da Antonio Morari. Sospesa per una crepa nel muro e per inadeguata conservazione delle reliquie, dopo avervi rimediato, la cappella fu riaperta sulla fine del 1850.

 

All'istituzione della parrocchia avvenuta nel 1854 la chiesa venne sempre più abbandonata, i suoi beni servirono a mantenere il coadiutore o curato. Nel frattempo anche per l'aumento della popolazione, verso la metà del '600, l'esigenza di un'assistenza religiosa era andata talmente imponendosi da richiedere la presenza di un sacerdote sussidiato attraverso un piccolo beneficio unito a quello di Botticino. Fu allora che si sentì l'esigenza di erigere una nuova chiesa. Vinte le difficoltà e i contrasti riguardanti la scelta dell'area dal 1763 al 1781 su area donata dai fratelli Francesco e Giorgio Busi q. Andrea, furono costruite la chiesa e l'elegante casa del curato che sarebbe diventata poi canonica. Poco dopo fu eretto il campanile sul quale nel 1824 vennero installate due campane della ditta Maggi di Brescia. Intanto il nobile Alfonso Cazzago, di Botticino Mattina, donava la pala dell'altare maggiore, nel 1829 veniva eretto l'altare dedicato a S. Gallo, nel 1832 quello della Madonna del Rosario. La popolazione, pur divisa da fazioni, collaborava sempre più alla costruzione e alla conservazione del nuovo tempio. Per mantenere l'olio alla lampada del SS. Sacramento vennero mantenute due fornaci "Faila" e "Pistone" poi "Monino" difese in un primo tempo da proibizioni, ma poi cedute al Comune in cambio di un assegno. Il risveglio e la crescita di un'appartenenza comunitaria portavano nel giro di alcuni decenni all'autonomia parrocchiale. Ciò avveniva, come s'è detto, nel 1854, grazie soprattutto al capitale offerto da don Bortolo Scaroni di Botticino Sera e da don Giovanni Lonati parroco di Botticino Mattina ma nativo di S. Gallo e di alcuni altri.

 

Nonostante i dissensi e le contrarietà di sangallesi e di botticinesi, veniva infatti, con atto rogato il 20 maggio, istituita la parrocchia di San Bartolomeo sotto il giuspatronato fino alla loro morte dei due maggiori donatori, don Scaroni e don Lonati. Primo parroco fu nominato il 2 agosto 1854 l'ex curato don Giacomo Botticini che rimase a S. Gallo fino alla morte avvenuta il 17 marzo 1888. Toccò a lui, coadiuvato dal fratello don Luigi, organizzare la struttura parrocchiale, provvedere la chiesa di un battistero, dei banchi e di arredi sacri. Esperto in scienze naturali e in geologia, egli aiutò i contadini e diffuse l'apicoltura. Ma toccò a lui, che era stato un ardente patriota risorgimentale, affrontare, dopo l'unità d'Italia le prime schermaglie con gli amministratori liberali su questioni speciose ma non banali, quale quella dell'uso delle campane per la scuola. Don Botticini fu, con la fondazione della Congregazione delle Dorotee, il promotore di Confraternite religiose. Il suo successore don Pietro Piccinelli (24 agosto 1888 - 15 novembre 1893) si fece subito carico della formazione giovanile fondando l'oratorio femminile, allestendo in canonica una piccola tipografia per addestrare i ragazzi del paese. Al suo zelo si deve anche la promozione della Congregazione delle Figlie di Maria, l'oratorio femminile (1890), il Terz'Ordine Francescano e l'istituzione del S. Triduo. Coinvolto nella cosiddetta questione dei monti scoppiata nel 1864 e che vede la vendita a privati dei monti comunali e l'abolizione di usi civici e del legnatico, don Piccinelli commise l'errore di schierarsi prima a favore dei sangallesi poi per la tesi del Municipio. Fatto segno ad una schioppettata contro le finestre della canonica fuggì a Botticino Mattina e ritornò a S. Gallo solo per far le consegne al successore, don Zaccaria Cargnoni di Rezzato che reggerà la parrocchia dal 20 gennaio 1895 al 29 aprile 1906. Conoscitore della gente e della situazione, egli si investe dei problemi della borgata diventando assessore e pro-sindaco del comune, giovando alla borgata. Grazie anche al suo impegno viene, nel 1897, costruito il cimitero locale, sotto il suo impulso viene realizzata fra le contrade di Valverde ricca di sorgenti e quella di Valsecca sprovvista di acqua, la fontana del Löch dei Gioachì. Per la gioventù maschile istituisce una scuola serale. Inoltre sistema gli affari della fabbriceria e dà impulso alla vita religiosa istituendo il gruppo delle Madri Cattoliche, la Compagnia di S. Angela, promuovendo il mese mariano, ecc. Breve (dal 28 ottobre 1906 al 4 maggio 1911) ma intenso il ministero pastorale di don Giuseppe Trotti, che tra l'altro egli ha documentato con preziose memorie e un diario pubblicato nel 1994 da R. Baldussi, Evelino Busi, Giulio Busi, Michele Busi, Riccardo Oprandi sotto il titolo "Memorie di un parroco di montagna" ricco di indicazioni dove entrano storia e tradizioni locali, cronache della vita parrocchiale, indicazioni sulle usanze della parrocchia, sulle regole circa le funzioni religiose, i funerali, la dottrina cristiana (1909) e, infine, la storia delle Confraternite religiose. Lui stesso si impegnò a ristabilire la Confraternita del terz'ordine di San Francesco, fondò quella delle quarant'ore e l'oratorio maschile. Con l'aiuto della maestra Cecilia Morari diede inizio nel febbraio del 1908 alla confraternita del SS. Sacramento. Pochissimo tempo dopo la devota insegnante morì «lasciando erede di sua sostanza la Congregazione di Carità di Botticino Sera, per i poveri di San Gallo, coll'obbligo di dare in affitto la sua casa alle figlie nubili di San Gallo, di buona condotta, e senza casa propria». Nasce da questo lascito la "casa delle vedove" che a San Gallo ospiterà nubili e vedove in quell'isolato, il "curtìf", dove trovò alloggiamento fino agli anni Trenta anche la scuola municipale sangallese. Fra le sue opere più appariscenti, nel 1909, fu l'innalzamento, su progetto dell'arch. Carlo Melchiotti e ad opera del capomastro botticinese Angelo Busi, del campanile e l'installazione di un nuovo concerto di campane, fuse dalla ditta Pruneri di Grosio (Valtellina). Campanile e campane vennero benedette con grandi feste il 26 agosto 1909. Commenta M. Tedeschi «Fu il compimento di quell'opera, l'apice della popolarità del parroco fra i suoi fedeli. Ma poco dopo la parabola inizia la fase discendente. Il disaccordo sul regolamento dell'uso delle campane lascia amareggiato don Trotti che si trova isolato, nelle sue proposte, rispetto all'apposita commissione e più ancora rispetto ad una considerevole parte del paese. Le critiche malevole all'operato del pastore lasciano il segno nel sacerdote e dal 1909 il tono delle sue cronache si fa sempre più amaro e severo a proposito del carattere dei suoi parrocchiani». Nel 1910 vengono intanto donate da Antonio Busi (detto "Zeca") e da sua moglie Annunciata Busi alcune reliquie di Santi: S. Angela Merici, S. Giulia Corsicana, S. Liberale, S. Giosafat. L'orologio della torre sarà installato nel 1913 dalla ditta rovatese Fratelli Frassoni. Il suo successore fu don Leopoldo Gaffuri, che condusse la parrocchia attraverso due guerre e il ventennio fascista lasciando di sé un "indelebile ricordo". M. Tedeschi gli attribuisce il merito di aver condotto a termine quella profonda, sottile ma drastica opera pedagogica avviata dal clero locale fin dall'istituzione della parrocchia e che valse, nell'arco del secolo, a modificare non poco i costumi locali quasi che il catechismo tridentino avesse trovato modo di diffondersi a San Gallo due secoli dopo che altrove, riuscendo solo all'alba del 20° secolo a cancellare consuetudini diffuse e a radicare un rigorismo morale precedentemente sconosciuto. Tocca a lui nel 1927 un radicale restauro dell'interno e dell'esterno della chiesa.

 

Carico di zelo e di entusiasmo è stato il parrocchiato di don Giovanni Pini (1945-1956). La sua è stata una pastorale di impronta sociale, di vicinanza alla gente e ai suoi problemi particolarmente acuti nell'immediato dopoguerra. Oltre che spendersi a trovare a tutti lavoro egli stesso diede vita in luogo ad un calzificio che purtroppo per sua troppa bontà e sprovvedutezza lo soffocò di debiti che lo costrinsero a lasciare la parrocchia. Bontà e semplicità d'animo contraddistinguono il parrocchiato di don Angelo Chiari che ha la gioia di far benedire il 26 giugno 1960 la statua della Madonna del cavatore, donata dalla signora Carla Pezzica Bianchi scolpita dallo scultore Carlo Tabarella e copia dell'analoga di Carrara. Consumato da lunga malattia don Chiari moriva a soli 43 anni. A lui succedevano prima don Serafino Tomasini e poi don Francesco Bazzoli. Sotto la guida di don Renato Baldussi, dal 1992, grazie soprattutto all'opera di volontari, venne sistemata la canonica e realizzata, accanto alla chiesa una piazza. È stata tinteggiata all'interno la chiesa parrocchiale, rifatto l'impianto elettrico, il portale della stessa, il nuovo altare. Intensa è l'animazione della vita religiosa e comunitaria. Nel settembre 1997 venne installata sul monte Dragone, accanto alla Croce della Speranza posta nel 1994, una campana in ricordo dei Caduti della montagna.

 

 

 

SS. TRINITÀ, CHIESA E MONASTERO. Sandro Guerrini individua la chiesa primitiva nel piccolo ambiente retrostante all'atrio d'ingresso della scuola E.N.A.I.P. ed è coperta di affreschi eseguiti tra il 1420 ed il 1480. La parte più antica e più preziosa della decorazione pittorica, secondo il Guerrini, è quella sulla crociera absidale che presenta i quattro Evangelisti all'interno di un'elegante decorazione geometrica policroma. Ai primissimi decenni del sec. XV egli situa le figure degli Evangelisti, l'elegantissima sinopia della Madonna in raffinate vesti di damigella con un nobile devoto inginocchiato davanti a lei. Il Guerrini fa rilevare l'interessantissima decorazione a fasce alterne rosse e bianche che completa in basso, verso il pavimento, gli affreschi. Sulla parete di destra si scorgono invece affreschi più tardi (1450) raffiguranti la Trinità, S. Giuliano (invocato contro il morso delle vipere che dovevano imperversare nella zona), S. Antonio Abate. A S. Gallo è attribuita una figura di S. Gallo datata 1455. La chiesetta venne ampliata verso la fine del '400 con l'ampia campata d'ingresso ora adibita ad atrio della scuola di restauro dell'E.N.A.I.P. Sandro Guerrini vede elementi architettonici (pilastri d'ingresso, capitelli, ecc.) quelli della loggia del primo piano uguali a quelli della sottostante aula adibita al restauro delle vele e nella loggia che domina la vallata. Sandro Guerrini afferma: «La datazione di tutte queste strutture così simili è facilitata - oltre che dalle caratteristiche stilistiche - dalla presenza in questo atrio della vecchia chiesa di affreschi sicuramente databili, anche se deperitissimi, al primo decennio del Cinquecento». Sulla parete di destra si vede infatti una grande ma rovinatissima scena raffigurante "La Madonna con il Bambino ed i Santi Antonio Abate, Sebastiano e Rocco", dipinta nel 1528, come provava un'iscrizione ora scomparsa, ma ancora leggibile nel 1911, quando il Trotti la trascrisse: «IACOBVS FARINARIVS DE BOTESINO DE SERA 1528». Allora anche il dipinto era ben visibile e manifestava la mano di un artista operante nella scia del Ferramola. Alla stessa epoca risale la decorazione del fondale della nicchia che ospitava in origine la statua lignea della "Madonna con il Bambino", ora collocata nella chiesa esterna, come la tavola raffigurante la "Trinità venerata dai S.S. Faustino e Giovita" opera del 1525-1530 della scuola di Paolo da Cailina. Il Guerrini ricorda come il pezzo più antico e prestigioso dell'arredo del monastero era comunque la croce argentea processionale del secolo XIV (ma forse più antica) emigrata clandestinamente in America intorno al 1950.

 

La chiesa esterna, a pochi metri dal monastero, venne edificata nel 1646. Il Guerrini la descrive come «un edificio tipico di quell'epoca, con una semplice aula voltata a botte e un piccolo presbiterio; sulla facciata compare anche un portichetto, elemento caratteristico delle cappelle votive e dei santuari, costruito per fornire ospitalità ai viandanti ed ai devoti pellegrini». All'interno sulla controfacciata si trova la lapide che ricorda data e costruzione «DEO / TRINO VNO / PIA LORANDAE STIRPIS STIPE / NOVO EX CONSILIO NOVA SVPER AREA / FAVSTINIANI MONACHI ET P.D.IO. / BAP. LORANDVS VNANIMES / EXTRVXERVNT DICAVERVNT / ANNO MDCXXXXVI». Sulla parete di destra sta in una nicchia "una vigorosa" scultura lignea settecentesca un tempo policroma, poi sverniciata, raffigurante S. Benedetto.

 

Al Settecento (1725-1730) risalgono anche due grandi tele, poste nel presbiterio, raffiguranti rispettivamente "Lo scambio delle reliquie di S. Benedetto e S. Faustino tra Brescia e Montecassino" e "Il trionfo della Vergine nella processione dei Santi Benedettini", che sono tra le opere principali del pittore bergamasco Antonio Cifrondi (il maestro di Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto) vissuto a lungo nel monastero di S. Faustino di Brescia ed ivi scomparso nel 1730. Di particolare valore storico il primo dipinto nel quale si vede, in primo piano, la processione che reca alla cattedrale di Brescia il reliquiario a forma di braccio, contenente l'insigne reliquia di S. Benedetto, mentre in secondo piano si vede la processione che sale, in senso inverso, verso l'abbazia di Montecassino, portandovi il braccio di S. Faustino, donato da Brescia. A destra, sullo sfondo in alto, è dipinto il castello di Brescia con la torre Mirabella, mentre suonatori di tromba accolgono il corteo: in simmetrica disposizione, a sinistra, una specie di fortezza arroccata su scoscesa montagna: l'abbazia di Montecassino. Il significato del dipinto è condensato in una iscrizione sul pilastro che regge il balcone dei suonatori; essa dice: «DAT TIBI CASSINUS / BENEDICT. BRIXIA, DEXTRAm /ULNAM: FAUSTINI TU / QUOQUE TRADE PAREm / OMNIA PROMITTENT. / GEMINE FELICIA DEXTre, / EN IURATA FIDES / BRIXIA PANGE MELOS». Notevoli le soase dei tre altari barocchi. Tali soase lignee policromate con colori ad acqua sono opere di intagliatori locali del Seicento, semplici ma gustose ed originali (quella maggiore, munita di talamoni, ha più evidenti pretese di composizione architettonica); segue una serie di Via Crucis, di un coloritore locale della seconda metà del Seicento, ora interamente restaurata. Sulla parete di sinistra è collocata una statua lignea policroma cinquecentesca della Madonna che Sandro Guerrini ritiene molto importante e che dovrebbe essere una delle prime opere di Maffeo Olivieri fissata dallo studioso al 1515. L'acconciatura ricorda infatti quella della Madonna di Giustino e il panneggiare ampio, ma spigoloso, è pure una caratteristica del Maestro. Sul piccolo campanile stanno due campane di cui la più grossa, fusa nel 1562 a spese dell'abate Cornaro, reca incisa l'immagine dei S.S. Faustino e Giovita, con la palma del martirio in mano, le quali piegandosi verso le estremità si congiungono, per proteggere una medaglietta rappresentante la SS. Trinità. La campana minore fusa nel 1407, e che si vuole benedetta da S. Carlo Borromeo in occasione della visita pastorale alla diocesi bresciana nel 1580, porta scolpita la Madonna che allatta il Divino Infante; indi l'austero S. Benedetto col libro della regola in mano.

 

Il monastero che ha conservato in molte parti le linee cinquecentesche è stato meta non solo della villeggiatura dei monaci, ma servì anche da rifugio durante pestilenze e calamità. Nel 1478 fu il rifugio di parecchi frati del convento domenicano di Brescia, fuggiti all'infuriare dell'epidemia detta "el mal del Mazuch"; in altre occasioni fu riparo dalle molte epidemie del tempo. Fu anche meta di grandi scampagnate di cittadini specie in occasione della festa della B.V. venerata nella chiesa del monastero. Sulla fine del '400 la SS. Trinità era già meta di comitive cittadine; fra esse il cronista Jacopo Melga ricorda le camminate del capitano di Brescia Nicolò Trevisan, che qui salì trascinando con sè anche molti cittadini.

 

Con bolla pontificia del 20 ottobre 1588 il convento passò alla Congregazione Cassinese, che lo amministrò fino a quando venne soppresso dalla Legge veneta del 7 settembre 1768. Acquistato dalla famiglia Lorandi, questa lo trasmise poi a don Gaetano Mondini, che a sua volta lo vendette alla signora Elisabetta Rossa vedova Da Ponte di Brescia. Questa lasciò erede il Collegio delle Orfane di Zanano (Val Trompia), chiamando erede fiduciario suo cugino mons. Giacomo Avogadro di Zanano, prevosto di Rovato e il fratello, padre della Pace. Nacque così il cospicuo patrimonio della Rossa, che si arricchì del dono che mons. Avogadro fece della sua casa paterna, formando in tal modo un rilevante patrimonio per quella istituzione. Nel novembre 1891 mons. Avogadro e il fratello offrirono il complesso edilizio ai frati francescani intenzionati a trasferirvi il loro Collegio di Cividino. In seguito mons. Avogadro, giudicando più conveniente affidare a precise persone fisiche, obbligandole a mantenerlo per l'Istituto di Zanano, lo intestò ai fratelli e sorelle Marchetti di Travagliato che di fatto divennero proprietari della SS. Trinità. Alla vigilia della morte (1899) raccomandò poi a Teresa Marchetti di aver cura della chiesa e di chiamarvi un cappellano, ciò che fece nel 1906. Morta la Marchetti, il monastero andò decadendo. Nel 1927 venne depauperato di parecchi affreschi, mentre la preziosissima Croce cinquecentesca finì in America. Nel 1970, come s'è visto, il complesso venne comperato dall'Ente Nazionale ACLI per l'Istruzione Professionale che l'ha restaurato, ricuperando affreschi e preziosi elementi architettonici.

 

CHIESA PARROCCHIALE DI S. BARTOLOMEO AP.. Come scrive Sandro Guerrini: «il fabbricato attuale è settecentesco, ma deve essersi piantato sul luogo della vecchia chiesa, trasferendo però la facciata verso la strada e la valle, per accrescere l'effetto scenografico. La facciata severa ed elegante è senza dubbio opera dell'abate Marchetti, a quell'epoca impegnato nella fabbrica della parrocchiale di Botticino Mattina, e presenta nel timpano un cartiglio con lo stemma del Comune di Botticino, le iniziali C.B. (Communitas Boticini) e la data MDCCLXXXI. La pianta è quasi centrale, con nel mezzo una crociera che collega la navata ai tre vani degli altari». Entrando, sulla destra si incontra l'altare della Madonna del Rosario con una statua della B.V. raccolta in una soasa marmorea settecentesca e una mensa altrettanto di marmo. Sull'altare maggiore, scrive Sandro Guerrini, campeggia una bella tela settecentesca - forse dell'ultimo Dusi - con "Il Martirio di S. Bartolomeo"; in basso a sinistra, accanto allo scudo di un soldato decorato con l'arma dei Cazzago, si legge l'iscrizione: «ALPHONSUS CACIAGHUS / PATRITIUS BRIXIANUS / D.D.D. / AN. MDCCLXXIII». La mensa è, secondo il Guerrini, del primo '700. L'altare sul lato di sinistra è intitolato a S. Gallo. Decorato con mensa e soasa marmoree dei primi anni del XVIII secolo, ha una pala forse tardo cinquecentesca, raffigurante "S. Gallo abate", pesantemente rifatta nell'Ottocento.


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